apicoltura


Una lunga storia alle spalle

La venerazione dell'ape e del miele è una costante lungo tutto il corso della storia; odi, canzoni e versi sono state scritti in loro onore in ogni epoca.
La testimonianza più antica della sinergia tra uomo e ape risale al neolitico (5.000-7.000 a.C.) in una rappresentazione rupestre rinvenuta in Spagna nei pressi di Valencia, a Cueva de la Arana intorno agli anni 20 del Novecento. Si tratta di un uomo con un recipiente nei pressi di un'ansa nella roccia dove indroduce un braccio per prelevare i favi. Alcune api volano attorno all'uomo e i cerchi concentrici che si distinguono probabilmente simulano il fumo. È un cacciatore di miele, figura che esiste ancora presso certe popolazioni primitive. Probabilmente l'uomo della raffigurazione sta raccolgliendo le famiglie di api che vivevano nei tronchi cavi delle piante, sezionandoli e sistemandoli nei pressi delle abitazioni. Questa pratica è rimasta in uso fino alla metà del Novecento.

Sono stati probabilmente gli Egiziani i primi a capire l'importanza di offrire alle api un luogo dove creare l'alveare. Nacquero così attorno al 2600 a.C. le prime arnie fatte di rami, canne intrecciate e fango essiccato, avevano forma cilindrica e venivano poste vicine l'una all'altra per agevolare il controllo e l'allevamento delle api. Si praticava l'apicoltura nomade fluviale lungo le sponde del Nilo, il viaggio durava tre mesi, seguendo le fioriture provocate dalle piene del fiume.
Ogni popolo ha sviluppato il proprio modo di costruire le arnie, talvolta venivano usati anche oggetti costruiti per altri utilizzi e adattati poi allo scopo dell'apicoltura. In Medio Oriente si prediligevano i vasi in terracotta, nell'Europa centrale i tronchi svuotati, altrove contenitori di paglia o di fibra vegetale e argilla.

Altre testimonianza relativamente ai Sumeri dicono che il miele veniva usato in cosmesi già nel 2000-3000 a.C.

Assiri e Babilonesi usavano il miele per le affezioni che colpivano epidermide, occhi, genitali, apparato digerente e trattavano i corpi dei defunti con la cera d'api e con lo stesso miele.

I Celti lo usavano nei riti di sepoltura, mentre per gli Etruschi rappresentava una preziosa offerta votiva.

I Greci lo consideravano il prodotto degli arcobaleni e delle stelle e gli conferivano una componente divina tanto da considerarlo il cibo degli dei. L'allora comune credenza voleva che le divinità si cibassero di nettare e ambrosia e che gli dei, in uno slancio di generosità, non potendo dare l'immortalità agli uomini, per confortarli per la loro condizione svantaggiata, permettessero loro ci poter gustare il miele facendolo cadere sulla terra dalle loro tavole riccamente imbandite. Lo credevano inoltre un potente elisir di giovinezza e lo somministravano regolarmente agli atleti che concorrevano ai Giochi Olimpici.
Aristotele (384-322 a.C.) è stato il primo a studiare scientificamente le api analizzandone il modo di riprodursi e notando che si dedicano ad una tipologia di fiori alla volta. Fino al termine del Medioevo i suoi scritti sono stati l'unica fonte autorevole sull'argomento. Anche gli antichi greci praticavano il nomadismo spostandosi da una regione all'altra seguendo le fioriture.
Nell'antica Roma troviamo importanti studi sulle api e l'apicoltutra; Plinio il Vecchio pubblica nel 79 d.C. la "Storia degli animali" dove parla spesso delle api e dell'apiario. Sappiamo per certo che presso i Romani l'apicoltura doveva essere particolamente sviluppata, praticavano la sciamatura artificiale, costruivano arnie e sperimentavno nuove tecniche. Virgilio, apicoltore e poeta, nelle "Georgiche" tratta dell'organizzazione dell'apiario e della flora apistica; è il primo vero e proprio trattato di apicoltura che sarà utilizzato in tutto il mondo occidentale fino al Cinqucento.
I Romani facevano grande uso del miele a scopo terapeutico, cosmetico e in cucina, tanto che era considerato un alimento fondamentale, presente in ogni pasto.

In India, oltre ad avere significati simbolici, il miele era considerato afrodisiaco, tanto da essere l'ingrediente principale di elisir e filtri d'amore.
Per lungo tempo e in diverse popolazioni ed epoche il miele veniva inoltre impiegato nei riti religiosi. Non è un caso dunque che nel Corano viene considerato il simbolo della guarigione sia spirituale sia materiale.

Nel 1448-1482 gli Inca conferivano miele e cera d'api come tributo ai conquistatori europei.

La diffusione dell'allevamento delle api al fine di ottenere miele e cera - due beni preziosi uno principalemnte per l'alimentazione, l'altro per la realizzazione delle candele - fu rapida e capillare. La sua importanza alimentare si mantenne inalterata per tutto il Medioevo fino all'avvento dello zucchero intorno alla metà del XVIII quando si scoprì che dalla canna da zucchero si poteva estrarre un prodotto con potere dolcificante più economico del miele. È l'inizio del tracollo nell'uso del miele, che venne rapidamente soppiantato dallo zucchero, che poco dopo cominciò ad essere estratto anche dalla barbabietola in modo ancora più redditizio.

Durante il miedioevo e fino al XVII secolo l'apicoltura non fa grandi progressi, si trova qualche citazione legislativa, ma nulla di relativo allo sviluppo tecnologico nè nella costruzione delle arnie nè nello studio delle api. Giovanni Rucellai nel 1812 pubblica un poemetto intitolato "Le api" ricco di osservazioni sull'allevamento dell'autore. Alla fine del XVII secolo l'apicoltura fa progressi notevoli, soprattutto grazie all'avvento del microscopio. Swammerdan scopre il doppio stomaco, il pungilgione, il sistema nervoso, il cuore, l'antenna, gli occhi la doppia ovaia e gli ovidotti della regina. Reaumur (1637-1672) descrive compiutamente la storia delle api nella sua "Storia degli insetti". Shirah pubblica nel 1771 la "Istorie naturelle de la Reine des abeilles".

Lo svizzero Huber (1750-1837), cieco, studiò l'ape costruendo un originale alveare a fogli mobili a forma di libro. Scoprì la fecondazione della regina e la fornmazione della cera, pubblicò i suoi studi nel 1792 nel libro "Nuvelles osservations sur les abeilles". Gli studi di Huber furono perfezionati dal reverendo americano Lorenzo L. Langstroth (1810-1895), che inventò la moderna arnia a telaini mobili. Il suo libro "L'ape e l'arnia" è un classico dell'apicoltura odierna.

Dalla metà dell'800 si diffusero in tutto il mondo i metodi moderni con le tecniche messe a punto da Langstroth. L'ultima scoperta significativa in campo di apicoltura è da ricondurre all'astuzia del maggiore Von Hruska (1819-1888), si tratta dello smielatore che permette di estratte il miele senza distruggere i favi.
L'arnia classica da 10 telaini deriva dal modello originale ideato da Langstroth nel 1851, successivamente modificato da Charles Dadant nel 1859 e da Blatt.

Nel 1932 venne standardizzata da Carlo Carlini l'arnia italiana partendo dal modello Dadant-Blatt. L'arnia Italica-Carlini è attualmente il modello più diffuso in Italia.

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